La polineuropatia demielinizzante, abbreviata con la sigla CIDP, è una malattia rara, di tipo sensitivo-motorio monofasica, ricorrente, cronica o progressiva caratterizzata da perdita di sensibilità, modifica nella risposta dei riflessi tendinei e aumento delle proteine all’interno del liquor cerebrospinale.

E’ una tra le 100 diverse forme di neuropatie ad oggi conosciute e classificate.

Rientra nell’ambito delle malattie cosiddette autoimmuni, ovvero quelle in cui l’organismo non riconosce se stesso e quindi attacca i propri nervi e la relativa guaina mielinica provocando un’interruzione dell’assone con conseguente arresto del segnale nervoso.

Diagnosi e decorso

Sovente l’esordio è localizzato in mani o piedi per poi estendersi lungo gli arti e lo stato infiammatorio genera formicolii e bruciori dovuti proprio allo stato di sofferenza del nervo.

Vista la tipologia dei sintomi ad essa associati, spesso viene confusa con la sclerosi multipla o la sclerosi laterale amiotrofica, pur avendo un esito prognostico decisamente migliore.

Per giungere ad una diagnosi di CIDP è necessario che il neurologo effettui una serie di esami mirati alla valutazione del caso oltre alla visita specialistica. In particolare appare opportuno menzionare sia il prelievo del liquor (puntura lombare), utile a valutare la presenza di proteine nello stesso, sia l’elettromiografia, necessaria per quantificare la funzionalità dei nervi.

Ulteriore esame che potrebbe essere richiesto è la risonanza magnetica nucleare (con o senza mezzo di contrasto), che potrebbe essere utile per valutare la presenza di aree infiammate e la loro localizzazione.

Tra le conseguenze di questa patologia possiamo annoverare la perdita di coordinazione, debolezza, perdita di sensibilità e crampi improvvisi.Ulteriore problematica associata alla polineuropatia è la riduzione del tono e volume muscolare in diretta conseguenza dell’interruzione assonale.

Cause possibili

Tra le varie cause teorizzate alla base di questa patologia, oltre a quelle di natura fisica, è stata anche ipotizzata una cronica carenza sul piano alimentare dovuta a una dieta povera di determinati nutrienti, come ad esempio quella strettamente vegana o vegetariana, che non consentono l’acquisizione di molti elementi non altrimenti assimilabili nè tanto meno producibili dall’organismo come ad esempio gli acidi grassi essenziali.

Per essere più dettagliati, si pensi alla necessità di un corretto apporto vitaminico, la cui mancanza pare essere proprio una delle cause scatenanti di alcune forme di polineuropatie.

Particolare attenzione andrebbe rivolta nel valutare e reintegrare i deficit vitaminici, soprattutto la vitamina b12, che è stato notato essere carente nella quasi totalità dei soggetti colpiti da polineuropatia demielinizzante.

Se tale reintegrazione non dovesse avvenire, a lungo andare si assisterebbe a un progressivo peggioramento delle condizioni del soggetto colpito, con conseguente incremento della disabilità.

Terapie

In genere se la diagnosi è tempestiva esistono buone possibilità di gestire in modo proficuo la malattia, garantendo al paziente una buona qualità della vita per un lungo periodo.

Ad oggi i trattamenti più comunemente utilizzati sono rivolti alla riduzione dello stato infiammatorio in primis e poi finalizzati a tenere sotto controllo la proliferazione degli agenti che attaccano le guaine mieliniche.

In casi di esordio o di attacchi acuti quindi viene spesso utilizzato il prednisone, corticosteroideo sintetico simile a quello prodotto dal corpo umano, generalmente per via orale o, nei casi più acuti, per via endovenosa. Va però considerato che l’assunzione prolungata di corticosteroidei potrebbe, nel tempo, portare effetti collaterali nocivi soprattutto a livello sistemico (problemi epatici, candidosi ecc).

Nella ricerca di una soluzione idonea a ridurre l’incidenza degli agenti patogeni e in un’ottica di miglioramento delle condizioni del paziente, si è quindi optato per l’uso per via endovenosa di immunoglobuline (proteine ematiche) in alte dosi ottenute da volontari umani sani o, in alternativa l’uso della plasmaferesi, con cui si mira a rimuovere le componenti nocive presenti nel sangue tramite il prelievo, l’eliminazione del plasma e la reintroduzione nel corpo del sangue depurato.

Ultima strada seguita per attenuare l’ingravescenza del decorso della patologia è l’uso di immunosoppressori per evitare che l’organismo produca ulteriori anticorpi dannosi e così arrestare o quantomeno rallentare il decorso della malattia.

Da uno studio comparativo si è potuto notare come in ogni caso, i pazienti trattati con corticosteroidi mantenessero uno stato di buona salute (assenza di ricadute) per un periodo più lungo rispetto a quelli che avevano ricevuto le immunoglobuline.

Al contrario, nei casi in cui si palesava l’efficacia delle immunoglobuline, queste si dimostravano più veloci nel consentire il recupero funzionale del paziente.