La chemioterapia, insieme alla chirurgia e al trattamento di radioterapia, è una delle metodiche di prima istanza per affrontare il tumore, poiché permette l’eradicazione dello stesso o un aumento della sopravvivenza, allorché utilizzata con scopo palliativo. Purtroppo, come trattamento non è esente da effetti collaterali, che possono manifestarsi molto frequentemente, rendendo lo stesso mal tollerabile dai pazienti.
Uno degli effetti collaterali maggiormente frequenti nel trattamento di questi pazienti risulta essere rappresentato dallo sviluppo di una neuropatia iatrogena periferica.
Con il termine di neuropatia periferica si intende, come suggerito dall’etimologia del termine, un disturbo caratterizzato dalla comparsa di sintomi a livello del sistema nervoso periferico.
Anatomicamente parlando, il sistema nervoso risulta essere costituito da due componenti, che sono appunto il sistema nervoso centrale ed il sistema nervoso periferico. Quest’ultimo è formato da una serie di nervi che connettono il cervello alle altre strutture dell’organismo.
Il sistema nervoso periferico può essere dunque danneggiato in maniera iatrogena, in seguito all’assunzione di farmaci quali sono appunto i chemioterapici.
Sintomatologia neuropatia periferica
Dal punto di vista sintomatologico, una persona affetta da una neuropatia periferica manifesta un’estrema variabilità sintomatologica. Per una maggiore trattazione diagnostica, si suole distinguere questi in tre grandi gruppi principali: motori, vegetativi e sensitivi.
I sintomi di tipo motorio comprendono sensazione di fatica nello svolgere le attività principali quali ad esempio la marcia o lo scendere e salire le scale. I problemi di natura motoria possono interessare sia gli arti inferiori che quelli superiori.
I sintomi di tipo sensitivo si manifestano sotto forma di parestesie, formicolii, bruciore e torpore. I sintomi di tipo motorio, invece, determinano la comparsa in questi pazienti di stimoli sensitivi quali ipoestesia, anestesia ed iperalgesia.
Farmaci chemioterapici utilizzati
Ovviamente, la gravità della neuropatia iatrogena risulta essere direttamente proporzionale alla quantità di farmaco chemioterapico assunto dal paziente.
Ma cerchiamo di capire quali siano i principali farmaci chemioterapici in grado di determinare la comparsa di una neuropatia periferica. Non esiste un farmaco statisticamente in grado di determinare neuropatia periferica rispetto ad un altro, ma in linea generale diciamo che i farmaci chemioterapici maggiormente associati ad una probabilità di sviluppare una neuropatia periferica sono i taxani, gli alcaloidi della vinca, il bortezomib, la vincristina ed i composti a base di platino, tra cui il capostipite è sicuramente il cisplatino.
In linea generale, ad i pazienti in trattamento chemioterapico per un tumore, si suggerisce, ogni qualvolta compaiano sintomi suggestivi di una neuropatia periferica, di rivolgersi all’operatore sanitario.
Egli sarà, difatti, in grado di indirizzare il paziente ad un cambiamento farmacologico della cura, o determinerà l’attenuazione sintomatologica semplicemente tramite l’aggiustamento della quantità di farmaco chemioterapico.
Difatti, in una stragrande maggioranza di casi, gli effetti collaterali di una chemioterapia si vanno a determinare in seguito all’eccessiva dose degli stessi, poiché questi sono farmaci aventi un range terapeutico molto stretto, e ciò vuol dire che tanto maggiore è la quota di farmaci somministrata al paziente tanto maggiore sarà la probabilità di andare a sviluppare gli effetti collaterali.
Fondamentale sarà non procedere alla sospensione assoluta del trattamento, poiché gli effetti di un ripristino della patologia tumorale possono essere considerati addirittura maggiori rispetto a quelli indotti da un’eventuale neuropatia periferica.
Difatti, dobbiamo considerare gli effetti catastrofici che si andrebbero a determinare in caso di un tumore che, inizialmente contrastato da una terapia chemioterapica, rincominci a crescere in seguito alla mancata somministrazione del trattamento stesso, determinando la morte del paziente o rendendo lo stesso non più suscettibile di trattamento chirurgico.
Trattamento della neuropatia periferica da chemioterapia
Esistono una serie di trattamenti, alcuni dei quali allo stato attuale solamente sperimentali, che possono essere utilizzati per ridurre il corteo sintomatologico che si accompagna alle manifestazioni di una neuropatia periferica indotta dalla somministrazione di chemioterapici.
Generalmente, per rendere un farmaco efficace, lo stesso deve essere testato in una serie di trials, previa la sua mancata somministrazione nell’uomo. Innanzitutto, si è visto che una certa efficacia nel ridurre questi sintomi si è avuta grazie alla somministrazione delle benzodiazepine, soprattutto nella riduzione del dolore neuropatico.
I pazienti sottoposti a questo tipo di terapia, difatti, hanno sperimentato una riduzione della sintomatologia dolorifica, valutata per un punteggio pari a 4 in una scala misurata da 1 a 10, valore che rappresenta comunque un buon risultato.
Comunque, questo rappresenta uno dei tanti trattamenti proposti ai pazienti affetti da una neuropatia periferica, ma non il trattamento standard. La difficoltà nel reperire un trattamento adeguato è data dal fatto che ci troviamo molto spesso di fronte a pazienti terminali, in equilibro labile.
Perciò, la somministrazione di un determinato farmaco potrebbe spezzare questo fragile equilibrio, determinando la morte dei pazienti stessi. Ecco spiegato perché la sperimentazione, nella maggior parte dei casi, si ferma in corrispondenza degli animali. Non potendo andare avanti, conseguentemente si è di fronte a farmaci non sicuri, che non possono essere testati conseguentemente a tutti i pazienti.
Ma cerchiamo di capire in che modo questi farmaci chemioterapici vanno a determinare il loro effetto tossico. La neuro tossicità di questi farmaci è determinata dall’accumulo di derivati del platino a livello dei gangli delle radici dorsali, all’aggregazione dei polimeri di tubulina o alla depolarizzazione della tubulina stessa, in base ovviamente al tipo di farmaco chemioterapico utilizzato.
Ovviamente, essendo come già spiegato questi pazienti in equilibrio labile, è fondamentale escludere eventuali cause in grado di determinare una compromissione del paziente.
Molto spesso, devono essere i pazienti stessi o i familiari ad avvertire l’oncologo riguardo alla compromissione e al decadimento delle condizioni generali del paziente oncologico, giacché bisogna considerare la fragilità intrinseca del paziente stesso. Ecco spiegato perché è fondamentale riconoscere ed indicare questi sintomi in una fase precoce. Tanto prima ci si approccia, tanto maggiori saranno le probabilità di sopravvivenza.
Un approccio molto interessante nei confronti di questa categoria di pazienti potrebbe essere rappresentata dall’utilizzo di farmaci denominati neuro protettori. Con questo termine si intende quella serie di sostanze in grado di determinare una protezione del sistema nervoso periferico.
Quindi, somministrando queste sostanze potremmo evitare la comparsa di effetti collaterali in relazione alla loro efficacia intrinseca. In questo modo, anche se non si determinerebbe un aumento della sopravvivenza, si contribuirebbe a migliorare la qualità della vita dei pazienti stessi. Tra gli agenti neuro protettori, si è visto avere una buona efficacia con l’utilizzo di farmaci antiossidanti.
Questi sono considerati relativamente sicuri, poiché sprovvisti di effetti collaterali.
Somministrazione di vitamine
Un altro approccio considerato sicuro per salvaguardare questi pazienti è dato dalla somministrazione di vitamine del gruppo B. Ricordiamo che le vitamine non possono essere sintetizzate all’interno del nostro organismo, dunque con questo termine ci si riferisce a tutte quelle sostanze che vengono ad essere introdotte dall’esterno tramite per lo più l’alimentazione. Tra queste, quelle più utilizzate a scopo neuroprotettivo sono quelle del gruppo B.
La vitamina B12 è anche conosciuta con il termine di cobalamina. In condizioni fisiologiche e di normalità è di per sè una vitamina necessaria per la biosintesi dell’intero sistema nervoso poiché determina la produzione di Dna ed Rna, messaggeri necessari per il corretto funzionamento dello stesso. Quindi, è fondamentale in questi pazienti discutere con l’operatore sanitario per procedere ad un’eventuale supplementazione della vitamina stessa, giacché le fonti alimentari possono non essere sufficienti.
Altre vitamine del gruppo B considerate efficaci nel trattamento della neuropatia periferica comprendono la vitamina B1, che viene ad essere indicata anche con il termine di tiamina. Questa aiuta il corpo a creare energia, necessaria per l’espletamento di tutte quelle funzioni di base caratteristiche di un sistema umano.
Già di per sè, la carenza di questa vitamine causa una neuropatia periferica. Figuriamoci quanto possa essere importante la stessa in condizioni patologiche, dove si determina uno scadimento delle condizioni nervose del paziente stesso.
Un’altra vitamina molto utile in questi pazienti è la vitamina B6. Forse, statisticamente risulta avere un’utilità maggiore nel sistema sanguigno, ed in modo particolare per la vita del globulo rosso.
Ma migliora anche la comunicazione neuronale all’interno del sistema nervoso periferico. Dunque, potremmo pensare ad una supplementazione di questa vitamina già a partire dall’inizio del trattamento chemioterapico a scopo protettivo, visto che andremmo a somministrare un qualcosa di utile per il sistema nervoso periferico stesso.
Ma questo non sarà assolutamente sinonimo di protezione. Ecco perché è assolutamente necessario implementare la ricerca, in modo tale da rintracciare un qualcosa di efficace, utile e soprattutto scevro di effetti collaterali per questi pazienti. Sicuramente, non sono dei veri e propri farmaci.
Gli effetti collaterali sono davvero molto pochi. Quindi, perché non procedere con una supplementazione di questo tipo? In attesa di un prodotto veramente utile ed efficace, contribuiremmo comunque ad abbassare il tasso di incidenza di effetti collaterali e dannosi, propri di pazienti che soffrono per la loro condizione invalidante.
Restando sempre nello stesso campo, altre vitamine che possono essere somministrate per cercare di salvaguardare questi pazienti prevedono l’assunzione delle vitamine E e D.
La vitamina E è utile, secondo gli studi, per proteggere questi pazienti dagli effetti collaterali dati dalla somministrazione di un farmaco chemioterapico a base di cisplatino. Difatti, la stessa contrasta gli effetti neurotossici di questo agente chemioterapico.
La vitamina D aiuta invece nella rigenerazione del nervo.
Conclusioni ed aspettative future
Quindi, in definitiva, sottolineiamo come la neuropatia periferica indotta da farmaci chemioterapici sia una della patologie più invalidanti. Si tratta di una polineuropatia, poiché possono essere interessati diversi distretti del nostro organismo, dato che non si riscontra una sede preferenziale della patologia.
La patologia è invalidante, poiché provoca estremo dolore nel paziente, anche perché dovremmo ricordare che i nervi periferici sono depositari della stimolazione dolorifica del nostro organismo.
Quindi, dato che i tumori vengono ad essere considerati dall’organismo mondiale della sanità come la seconda causa patologica di morte nel mondo occidentale e che gli stessi non portano al decesso subitaneamente, ma sono accompagnati da una serie di effetti collaterali e manifestazioni invalidanti tra cui appunto la neuropatia periferica, sarebbe assolutamente auspicabile muoversi in questo senso, in modo tale da andare a rintracciare un trattamento efficace e sicuro che andrebbe, almeno in parte, a mitigare le condizioni di vita dannose di questi pazienti.